Nicola Manzan, già discreto accompagnatore (a viola e violino) per tanti e tanti act del rock alternativo italiano (dai Baustelle all’”Ultimo re” dei Ronin ai Magpie, passando per collaborazioni teatrali e sonorizzazioni di reading) si rimangia tutto con gli eccessi post-espressionisti del suo personale progetto a nome Bologna Violenta, il cui “Nuovissimo mondo” fa finalmente luce sulla sua arruffata discografia di Cd-r e autoproduzioni. Tra l’attività tuttofare per Baustelle & co. e Bologna Violenta c’è la stessa differenza che passa tra “Teorema” e “Salò” per Pasolini.
Il “Nuovissimo mondo” di Manzan è un po’ la metafora del suo essere artistico, che comprende teatralità e cyper-punk, hardcore e arrangiamento curato.
Nonostante l’album si ascolti di filata, molti dei suoi virulenti bonsai farebbero inorgoglire l’Arto Lindsay più intransigente: “Chirurgia sociale”, “Le regine delle riviste porno”, “Un Paese pietoso” e l’ascesso di “Morte”. Le sue fiondate jungle (come “La mattanza”) sono degne di Dj Spooky, e assalti atomici come “Stronzi” sono degni di Alec Empire.
Manzan impiega la brevissima durata per illustrare un fatto primitivamente, istintivamente conoscitivo (quasi ludico), non necessariamente filosofico, né tantomeno descrittivo o peggio narrativo. Nondimeno, il suo cerimoniale sadico assume tinte di tragicità esasperata in “Il declino della musica contemporanea”, nei gloriosi conati elettronici di “La donna nel mondo” e nel recitativo truculento di “Il sommo fallo”.
La sua procedura di cut-up brutale ha i sui culmini demenziali in “Maledetta del demonio”, “Il trionfo della morte”, con sample di Mozart, lettura in lo-fi e tempesta di distorsori, e nel missile cortocircuitante di “Una buona cosa”, mentre “Pistola e dare ordini”, la più irrazionale, sconfina persino nella musica gestuale (o nell’arte subliminale). La chanson declamata di “Il nuovissimo mondo”, il preludio, è deflagrata da mitragliate hardcore techno, e il carillon natalizio di “Danze cecene” è deflagrato da vampiriche fiondate death-metal.
A una certa distanza dal prepotente tono kamikaze che imperversa nell’opera, “L’uomo: ultimo atto?” è pienamente emblematica, fin dal titolo, e la più suonata, “Mondo militia” è quasi un Peter Gabriel sotto speedball, e “Trapianti giapponesi” è uno spot spastico a tempo di jungle.
La meditazione di “Nudo e crudele” e “Blue Song” (in cui si apprezza il suo violino, un po’ Warren Ellis un po’ Mussorgsky) rilassano il battito cardiaco e giocano il ruolo d’interludio, tra primo e secondo gruppo di “atti”.
Moltitudini di reading e schegge recitate (a cura di Gianmarco Busetto, anche consulente teatrale, e Luca Nichetti, di Farmacia Zoo:è, oltre alla consulenza antropologica di Emanuela Masia e i cameo di Antonio Mazzarre) affollano le sue frattaglie distorte, quasi ricambiando il favore di tutto l’aiuto che il novello compositore ha apportato negli ultimi anni. Con il sottotitolo di “Dramma in XXIII atti sulla morte del mondo e sul declino del genere umano”, e l’epigrafe-artwork disegnata da eeviac, è un concept-meditazione-sfogo mortifero sulla catastrofe astratta a seguire la fine dell’era consumistica, che si nutre di bestemmie ultrasoniche, brani-slogan brevi o brevissimi (una buona metà non arriva al minuto di durata) e deflagrazioni inumane. A fianco della produzione Bar La Muerte ci sono Minimamedia Modernmusik, A Buzz Supreme e Estragon Booking.
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